Due livelli di pregiudizi da demolire
di Irene Grimaldi

Esistono due livelli di pregiudizi che investono le persone affette da disturbi alimentari.
Un primo livello è orizzontale, trasversale alle varie tipologie di questi disturbi: si tratta dei
pregiudizi che serbano coloro i quali sono estranei alla tematica. Che loro sentano parlare di
anoressia, bulimia, binge eating, o delle altre forme di disturbi alimentari, infatti, la reazione
immediata è un misto di compassione e pietismo, che spesso scaturisce dall’autoconvincimento
circa la propria distanza anche dalla sola ombra della patologia. Ergo, chiunque ignori il tema dei
disturbi alimentari, appena entra accidentalmente a contatto con la loro trattazione, ad esempio sui
media, quasi sempre ha un moto di carità verso le persone malate: si affretta a riconoscerle come
altre da sé, modalità questa per sottolineare la propria estraneità a un mondo ancora fortemente
stigmatizzato – i disturbi alimentari sono patologie psichiatriche, e la salute mentale non è
considerata alla stessa stregua della salute fisica nella società.
Tuttavia, se a una prima analisi emerge il livello di pregiudizi che denominiamo “orizzontale” e che
investe indistintamente tutte le persone affette da disturbi alimentari – almeno se ci si ferma al piano
concettuale -, a un’analisi più approfondita si rileva un altro livello di pregiudizi, che possiamo
definire “verticale”. Esso consta dei pregiudizi che vengono riversati sulle persone affette dalle
forme di disturbi alimentari che hanno a che fare con corpi non magri, ovvero con corpi sovrappeso
o obesi, spesso appartenenti a persone con bulimia o binge eating. Definiamo “verticale” questo
livello di pregiudizi in quanto generalmente essi non provengono solo da persone estranee alla
tematica dei disturbi alimentari, ma anche da coloro che sono “dentro” alla medesima tematica, o in
qualità di pazienti o in qualità di professionisti. Infatti, persone affette da anoressia o da altre forme
di disturbi alimentari caratterizzate dalla restrizione – forme patologiche alle quali sono associati
corpi magri – attribuiscono un giudizio estremamente negativo alle persone affette da bulimia, binge
eating, o da altre forme di disturbi alimentari caratterizzate da abbuffate ricorrenti – forme
patologiche alle quali sono associati corpi non magri, ovvero sovrappeso o obesi -, come se il
sintomo bulimico o binger derivasse da un capriccio, dal peccato di gola. Succede così che coloro i
quali sono affetti da bulimia, binge eating, ecc. sono considerati “meno malati” o per nulla malati,
rispetto a coloro i quali sono affetti da anoressia, ecc. e finiscono per convincersi che è legittimo
che il loro sintomo sia perennemente declassato a minoritario, quasi fosse una forma patologica di
minore importanza e gravità: in fondo, loro, che hanno corpi grassi, corpi da rifuggire e rinnegare,
se la sono cercata, ergo è colpa loro se versano in una tale condizione. Purtroppo, talvolta, la
gerarchizzazione dei disturbi alimentari non interessa solo le persone che soffrono di queste
patologie, ma altresì i luoghi di cura, dove si innesca un pericoloso processo di istituzionalizzazione
della secondarietà di bulimia e binge eating rispetto all’anoressia. In generale, il fenomeno per cui
le persone grasse sono discriminate è conseguenza anche della società profondamente grassofobica
nella quale viviamo e le persone grasse affette da bulimia o binge eating non sono esenti da tali
dinamiche.
Risulta quindi fondamentale che i professionisti impegnati nel trattamento dei disturbi alimentari
disinneschino questo meccanismo, in primis nei luoghi deputati alla cura, affinché le persone affette
da tali patologie, di qualunque tipo sia il loro sintomo, acquisiscano la consapevolezza della
legittimità della sofferenza, a prescindere dalla sua natura, e comincino a loro volta ad abbattere i
pregiudizi del livello verticale. Così sarà possibile iniziare a divulgare nella società una narrazione
altra, che permetterà di demolire anche i pregiudizi del livello orizzontale.
Irene Grimaldi
Irene Grimaldi è un’educatrice professionale sanitaria e collabora con FADA – Associazione
Famiglie Disturbi alimentari www.fadaonlus.it
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