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PERSONE, NON CARTELLE CLINICHE

Di Elisa Landò

L’amica problematica, la paziente sottopeso, la figlia capricciosa e la nipote “troppo in
gamba” per essere caduta in un disturbo alimentare.
L’anoressia è subdola: prima ancora di farti perdere peso ti fa perdere te stess* ma,
nel frattempo, gli altri costruiscono intere identità da appiccicare alla tua persona.
Dai dottori mi sono sentita trattata come un classico caso studio, l’ennesima ragazza
che non vuole mangiare e che deve prendere peso. Il protocollo da seguire era quindi
semplice: piano alimentare ipercalorico e controllo ambulatoriale settimanale.
Ma non funzionava.


Non mi sentivo presa sul serio. Non mi sentivo considerata per davvero.
I dottori non stavano cercando di curare me, stavano cercando di curare il mio corpo
malato.


Ad ogni visita mi sentivo sempre più impotente, piccola e giudicata per il fatto di non
riuscire a seguire la dieta che mi avevano dato. “Se non mangi quello che ti abbiamo
scritto nel piano alimentare noi non possiamo fare niente per te”. Ma è proprio questo
il problema! Io non riesco a mangiare e sto chiedendo aiuto a voi per farlo!
Non riuscivo a seguire le loro indicazioni perché non riuscivo a fidarmi di loro. Non
avevamo mai avuto un confronto o un dialogo, non c’era un rapporto di rispetto
reciproco: loro erano i medici e io ero la paziente malata; il loro compito era
‘prescrivermi la medicina’ e il mio compito era prenderla, obbedire senza farmi
domande.


Il problema è che quando ti ammali di anoressia l’unica cosa di cui ti preoccupi, l’unica
cosa della tua vita alla quale dai ancora un valore, è come il tuo corpo appare
dall’esterno, quanto pesi e che aspetto hai, e, essendo questo l’unico elemento che
ormai tiene precariamente attaccati insieme i piccoli frammenti della tua persona, lo
controlli ossessivamente.


Non riesci a delegare il controllo sull’alimentazione ad una persona esterna perché è
l’unico mezzo che l’anoressia riconosce come utile per raggiungere il tuo (suo) scopo
malato. Non ti lasci aiutare da tua madre, figurati da dottori che neanche conosci!
Non te lo puoi permettere.


“Nessuno ti capisce”, “Nessuno sa cosa hai passato”, “Solo tu sai cosa è meglio per il
tuo corpo”… ti grida il dca nella testa.


La situazione è iniziata a migliorare quando io ho cominciato a mettere in dubbio i miei
pensieri. Forse non tutti i ‘suggerimenti di vita’ che generosamente mi dava il dca mi
rendevano più felice… (anzi proprio nessuno!).


Ho quindi, piano piano, iniziato ad ascoltare le parole delle persone che, a mente
lucida, sapevo non volessero altro che il mio bene (o quantomeno vedermi viva.

Letteralmente) e, con l’aiuto di una psicologa dalla quale finalmente mi sentivo
compresa, vista e soprattutto considerata come persona e non come un corpo da
aggiustare, mi sono aperta alle cure alimentari di altri dottori.


Piano piano nella mia vita e nei miei pensieri sono tornate altre cose ed interessi oltre
alla forma del mio corpo: serate con gli amici, impegni in università, desideri e progetti
per il mio futuro… Più facevo spazio per queste cose, più l’ossessione per il peso e
per il controllo sul cibo si ridimensionavano. Lentamente il cibo è tornato ad essere un
alleato, uno strumento utile che aiuta me ed il mio corpo ad avere energie sufficienti
durante le giornate.


Piano piano mi sono resa conto che avere la concentrazione mentale per preparare
un esame universitario è più soddisfacente di resistere alla fame per ore, che fare una
passeggiata sul lungomare è più piacevole se la vista non si annebbia ad ogni passo e
che, alla fine, vivere senza avere abbastanza energie per farlo non è vivere davvero.
L’anoressia non è un capriccio, non è un rifiuto categorico del cibo o delle cure
mediche.


L’anoressia è il non permettersi di allentare il controllo sul cibo per paura di perdere
quel poco che credi ti sia rimasto.


Non si guarisce solo con un piano alimentare, si guarisce con la fiducia, con l’ascolto e
con la voglia di conoscere per davvero il paziente.


Noi “anoressiche” non siamo tutte uguali. Siamo persone diverse con storie diverse,
paure diverse, sogni diversi, difficoltà diverse, aspirazioni diverse, corpi diversi… e
una malattia simile.


Noi “anoressiche” siamo persone, non cartelle cliniche.

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